Le proprie origini, per quanto determinate dai genitori, sono l’humus soggettivo che amalgama in base alla propria norma le
caratteristiche ereditate, che risalgono all’infinito fino ai
primordiali
capostipiti della razza umana.
I
bambini non sono proiezioni, protuberanze o appendici, per quanto
possano rappresentare anche la “incarnazione” di un rapporto.
La
loro singolarità esige rispetto.
Rispettare, dal lat.
re movimento inverso
- spectare prestare attenzione,
guardare. Cioè guardare all’altro con attenzione, con ri-guardo, smettendo di fare riferimento a se stessi per riferirsi a quello che l’altro è.
Questo
è l’imperare del quarto arcano: iniziare a preparare.
Il terreno appunto.
Se
l’esperienza e la forza dell’imperatore (di chi detiene il potere)
proteggono, rassicurano, senza pretendere, cioè nel rispetto, il
bambino ricambierà con pari rispetto. L’imperatore diventerà un
esempio da ammirare, un modello-struttura
a cui fare riferimento. E sebbene, inizialmente, si possa tendere a
imitarlo, per eguagliarlo, quello che in realtà viene assimilato è il
rispetto.
Il
rispetto del potere (essere ciò
che si è). Che va di pari passo con la responsabilità.
Chi
tende a prevaricare userà queste parole, rispetto e responsabilità, con
ipocrisia. Ed è l’ipocrisia che verrà assimilata. Lasciando
un’impronta distruttiva che spinge a un’imitazione o una ribellione
coatte, e che spesso producono una replica di ciò che si subisce.
Cioè, ora subisco perché non posso fare altrimenti, ma quando
potrò ributterò questa violenza contro chi ne è responsabile o una
sua rappresentazione o, generalizzando, “chiunque mi sarà contro”.
Aderendo all’ipocrisia, mi
rifarò su chi è più debole.
Sono
meccanismi molto sottili, difficili da stanare e vedere in se con
lucidità.
Il
senso di colpa nasce da questo.
Non
tanto dalla disapprovazione dell’altro per una non aderenza alle
regole (=non vado bene perché non sono come mi vuole. Quindi non sono
“buono”).
Nemmeno
dal non ammirare chi fa
“patire” la mancanza di un modello costruttivo. Tradotto spesso con
mancanza di riconoscenza verso chi ha cura di te (= non sono come lui,
cioè non sono buono e nemmeno riconoscente del fatto che cerca di
rendermi buono. Dunque sono “pessimo”, cioè anormale).
Ma
dalla sensazione di essere “impuro”.
Che si origina, in realtà, dal non accettare ciò che si è,
contraffacendosi. E resta in vita, il senso di colpa, sino a che non si
comprende questo malinteso.
La
responsabilità di un “modello”, cioè di chi ha maggior potere, è
immensa.
Perché
se questi è meschino, come
potrà pensare chi dipende e ha meno potere di lui di non esserlo? Come potrà uscire dalle proprie “meschinità” se non
c’è qualcuno che dimostra che è possibile?
Questo
non richiede, a volte, che il coraggio di ammettere con umiltà la
propria mancanza o debolezza, di chiedere scusa e saper tornare indietro
sui propri passi. Di perdonare.
Il
nuovo, neos in greco giovane, deve strutturarsi.
Il
solido, gheros in greco che vuol dire anche vecchio, antico,
è strutturato.
La
struttura, che ha la solidità della saggezza, basata sull’esperienza
“saggiata”, è la buona base da cui il nuovo può partire verso la
propria ricerca. Al
di là delle naturali divergenze.
In
questo senso la Gerarchia avrebbe alla base colui con più
esperienza, che serve da scalino a quello che ne ha meno e così via.
Fino all’ultimo, il nuovo che arricchirà e rinnoverà con la sua
esperienza in divenire tutta la struttura.
Se
il nuovo, o il meno esperto, sbaglia il più esperto darà per-dono la
propria esperienza per sostenerlo, poiché l’errore è di per sé un
castigo. Naturalmente il nuovo dovrà rimediare all’errore,
apprendendo ciò che ha trascurato.
E
se sarà il più esperto a sbagliare, per-dono riceverà dall’altro
una nuova consapevolezza che lo renderà ancora più saggio,
consentendogli di ricucire una smagliatura trascurata.
Questa
è la tradizione da rispettare, la consegna da trasmettere.
Per
non trasformare gli Archetipi in immaginette.
Per
non dare per morto un sano sovvertimento, prima ancora che sia morto,
cioè stabilizzato in una nuova struttura da superare, condannando la struttura esistente a una senilità
apoplettica.
Si
tratta di identificare l’errore sistematico di ogni trasformazione:
prima c’è il tentativo della vecchia struttura di mantenere lo status
quo per non morire, poi quello della nuova che è subentrata di
consolidarsi .. a vita. Cioè ripetere quello che è stato criticato e
impedito alla precedente. Mantenendo le fratture fra i diversi insiemi
che creano la struttura complessiva.
Soggettivamente:
le diverse funzioni. Oggettivamente : la comunità.
Una
struttura vitale e libera, sa per esperienza o intuito, che tutto è in
divenire. Persino la morte avvia processi di rigenerazione. Quindi ciò
che è consolidato deve servire come base stabile
a un progetto innovativo che espanderà e rinnoverà tutto.
Perché anche se sorpassa la base, non l’annienta, altrimenti il
progetto stesso ne risentirebbe, poiché le sue radici affondano
nell’esperienza precedente.
Il guaio delle “radici” e delle “strutture” è che tendono ad
abbarbicarsi per non venire spodestate .. non del potere di se su se, ma
sull’altro. Il che significa che stanno trascurando il proprio potere.
Ma
esistono anche individui ben radicati in se stessi, che svelano il
mistero del “è possibile andare oltre”. Persone che si ammirano.
Che operano da “guida” oltre i confini che imprigionano, oltre
l’impronta fossilizzante, per aprire la strada a una vera ricerca e
strutturazione di sé.
Ammirare,
non invidiare.
Si
ammira il potere di essere. Si invidia il potere sugli altri.
Quando
si ammira qualcuno significa che si “ri-conosce” in lui qualcosa di
sé, anche se “dorme”.
Che
va risvegliato, perché non è più possibile rinnegarlo, salvo
mortificandosi.
Non
importa se non sarò in grado di uguagliarlo, se non nell’alzarmi a
ciò che sono. Ricongiungersi al se primordiale.
La
domanda è : su cosa strutturare,
sull’ammirazione o sull’invidia?
Essere
una struttura che protegge, sostiene, si cura o un potere improprio che
prevarica?
Bisognerà
fare i conti con la risposta che si sceglie. Con il risultato che ne
conseguirà.
Perché
se non permetto all’altro il rispetto e la responsabilità di sé,
cioè di essere libero, non potrò lamentarmi se sarà un eterno
adolescente che attende e pretende di essere accudito dalla “mamma”
.. e non mi lascia libero. Altrettanto se non ho verso me stesso
rispetto e responsabilità, non potrò poi “lamentarmi della mamma”
.. che non mi lascia libero.
Da
qui il Dovere di preparare a
manifestare ciò che è.
La
preparazione ad avere ciò che è.
E
quindi la responsabilità di educare ciò che è.
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