Sprofondare
nella propria miseria potrebbe essere la strada che, attraverso domande
e risposte precise, riconduce lo sguardo sulla parte nascosta, che manca
e fa sentire incompleti.
Il
“non buono” di sé andrebbe recuperato per rendergli la sua
dignità.
Il
buco da ricucire sta nascosto dietro la paura, che
imprigiona. Come un bambino
spaventato, va presa per mano, guardata in faccia, rassicurata. Oppure
re-agirà scontrosa sempre più spaventata .. per il rinnovato timore di
non essere accolta.
La
paura è il bambino spaventato dal pensare di non essere “buono”.
Alla
medesima paura, possono esserci reazioni diverse e opposte, date
dall’insieme dei fattori soggettivi e oggettivi.
Inibizione
o esibizione. Beneducazione o maleducazione. Adeguamento o ribellione
acritici. Un’apertura indiscriminata all’altro (essendo stato
buttato via, butta costantemente fuori) o chiusura (non abituato a
ricevere, non vuole nulla da ricevere-trattenere) oppure
un’influenzabilità agli stimoli che confonde. E via.
Si
può volere tutto, cioè troppo, oppure rifiutarlo per lo stesso motivo:
non soffrire di nuovo.
Che
si possa diventare possessivi per non essere posseduti, dominare per non
essere dominati, distanti per non essere allontanati, intolleranti
perché non si è stati accettati, … non toccare perché non si è
stati (veramente) abbracciati, mortificare perché si è stati
spodestati, abbandonare perché si è abbandonati, … e così via ?
Si
cerca amore, dimenticandosi il vero nodo della questione : che si vuole
semplicemente essere accettati. Lo si richiede costantemente, anche se a
livello superficiale, o lo si rifiuta drasticamente. Si è comunque
incompleti e irreali.
Così
se da un lato si continuerà a proteggere, cioè nascondere, ciò che si
è.
(Proteggere perché non venga deformato. Nascondere perché non lo
si accetta.) Dall’altro si tenterà di essere amati per quello che
non si è, rapportandosi con la maschera che (si pensa) viene richiesta,
dando per scontato che non si può essere amati per quello che si è.
Oppure
se, inavvertitamente o provocatoriamente, ci si mostra realmente, anche
solo in parte, immediatamente ci si ritrae per paura del rifiuto, col
rischio di venire fraintesi, colpevolizzati e respinti. Ci si pone come
non-io, distaccato dall’altro che si tenta di accontentare al fine di
essere accettati-amati in generale .. e poi, magari, lo si punisce
perché se ne dipende.
Partendo
da quello che si presume gli altri si aspettino, non si entra in
relazione per quello che si è ma con altro volto. A quel punto, essere
accettati per quello che si è, può mettere allo sbaraglio e confondere
perché non si sa come usarsi.
Che
riesca o meno a farsi amare, è l’accettarsi quello che gli manca.
La
paura alla radice può essere offuscata e si penserà erroneamente che
basterà essere amato.
In
ogni caso, quanto meno interiormente, si sarà aggressivi, rancorosi e
sprezzanti, cioè indifferenti.
A
volte si sosta “fuori tempo”. Ci si mette sotto la protezione di antiche difese e si prosegue stando fermi. Cioè è possibile che a
trent’anni o più si sia ancora fermi alle modalità di dieci, più o
meno.
A
dieci anni non parlo perché mi hanno insegnato che non è educato
chiedere e comunque non riesco a esprimermi (=non ho acquisito
ancora gli strumenti di questa tecnica), né sono in grado di
manifestare concretamente il mio dissenso (=non ho raggiunto
sufficiente autonomia). Quindi è inutile. Il pensiero è logico.
A
trenta eseguo la stessa parte: taccio
.. perché parlare non serve. Trascuro il fatto che ora sarei in
grado di esprimermi e agire, tanto meno mi interrogo sul chiedere. Resta
solo la sensazione di impotenza : è inutile ..
E’
passato tanto tempo “inutile” che ha fatto dimenticare che si voleva
chiedere, che il dissenso è esistito fino a che ci si accettava. E che ha spento il coraggio di dissentire fino a
sentirsi “non buono”.
Il
tacere è come dire “tanto non mi accetteranno” per nascondersi che
non ci si accetta da se.
Allora
tace. E non chiede, così potrà fare quello che “deve” almeno a suo
modo, senza ulteriori interferenze. O altro.
Le
modalità reattive che vengono agite per andare contro, tradiscono la
vera indole anche se portata agli estremi (ovvero usata impropriamente)
e diventa difficile sentirla veramente propria, anche se la si sventola come un trofeo. Perché
proseguendo nell’estremizzarla, una parte di se viene penalizzata e ci
si sente “imperfetti”.
Se
si decide che una parte non è “buona” e la si elimina, questa parte
continuerà in un modo o nell’altro a farsi sentire creando turbamenti
confusi.
Non
chiede, tanto è inutile .. “così potrà fare .. a suo modo”:
rivela una personalità che sa (o saprebbe) ciò che vuole, in grado di
muoversi da sola, senza bisogno di assenso. In grado quindi di
accogliere anche un no.
Sa
ciò che vuole ma le hanno insegnato che non è “bene” chiedere. Poi
ha imparato anche che se non chiede ha più probabilità che non le
venga chiesto. Sa ciò che vuole ma non chiede, quindi non conosce ciò
che vuole, crede di sapere.
Prende
quello che le viene dato, ma non se ne nutre, inghiotte e espelle ..
anche ciò che vuole. Non sa ricevere, contenere.
Non
nutrita non sa nutrire, nemmeno se stessa.
Non
chiede, perché ancora non lo sa .. troppo presa a difendersi. Dice
“posso fare a meno di te”, cioè ancora ti rifiuto perché mi puoi
rifiutare. Vale a dire, ancora per accettarmi ho bisogno del tuo
consenso.
Continua
a essere legata al passato, fuori tempo, che continua a punire
difendendosi “non farò ciò che vuoi”, mettendo però altri in
mezzo che non c’entrano. Senza rendersi nemmeno conto di essere
“sotto ricatto”.
Qualcuno
dovrà prima o poi iniziare a comprendere che l’altro fa così per lo
stesso motivo, a sua volta non è stato accettato ..
Il
passato è morto. Onoriamolo con un
rito:
abbandonare le modalità e gli schemi che snaturano instaurati nel
passato, morto-non-ancora-morto, per lasciarlo andare. Così tornerà
dal passato solo quello che è buono, che resterà sempre dentro.
Basta!
E’
tempo di riappropriarsi di sé e non ripetere l’errore. Ovvero avere
la capacità di slegarsi dai condizionamenti.
Bastarsi.
Fermarsi
a riflettere. Comprendere l’errore. Ritornare sui propri passi.
Rimediare. Ecco: questo sono io.
Contromossa
che disarma!