Bisogna
“svegliarsi” al presente e capire i sentimenti che lo riguardano,
senza sovrapporli o sottometterli al passato. Perché siano “sacri”
Inizialmente,
dalla propria confusione, è naturale cercare uno specchio in cui
riflettersi che rimandi l’immagine di sé, confusa e che confonde, per
riuscire a vederla dandole profondità, cioè più dimensioni.
Ci
si aggrega ai propri simili, quelli
in cui ci si rispecchia, con cui ci si confronta e insieme a cui si va
"contro" gli altri, quelli diversi. Poiché ci si basa su un comune
sentire (che diventa "sacro") vengono condivisi “rituali” di gruppo, che
trasgrediscono le regole dei “dissimili”.
Questo porta a confrontarsi piuttosto a fondo col sentire, così
da verificare quanto sia valido.
L’aggregazione
è una fase transitoria che serve sia a staccare gli ormeggi dal passato
che a proiettarsi verso il futuro.
Per
intenderci. L’adolescente
dal clan della famiglia passa alla tribù dei coetanei, in un certo
senso sconfina. E via via, orientandosi ad ogni livello, verso coloro che
ritiene più affini per interessi e obiettivi. E’ un processo
naturale.
Dare
profondità
al sentire trasforma.
Come
una cipolla, pellicola dietro pellicola, si arriva al cuore di sé. Da
qui il ritorno verso l’altro ha meno confini, perché ormai “sgrezzati”
si riconosce che la libertà è sacra .. la propria come l’altrui.
La
consapevolezza del proprio sentire, della propria verità
e purezza, fortifica. Non c’è più il bisogno di conformarsi o di ribellarsi
reattivamente a norme esterne per non sentirsi diversi,
indifesi, emarginati .. Si riconosce la propria singolarità come
ricchezza da mettere in comune con
l’altro, pur diverso nella sua singolarità, su sentimenti profondi.
L’unione
fa la forza se rigenera, altrimenti rischia di tramutarsi in bisogno
acritico di sicurezza o in violenza.
Il
contatto con l’altro
trasforma
sempre, anche se questo può risultare impercettibile. Come se le
energie chimiche di ognuno si contagiassero reciprocamente, con una
conseguente reazione che muta ogni componente, ingenerando parti di se
che riguardano l’altro. Anche se sostanzialmente non deformano .. o
non dovrebbero.
Diciamo
che una parte “superata” (l’io di ieri) muore per rinascere
(nell’io di ora). E’
una morte talmente naturale che, difficilmente, la si “registra” a
livello conscio. Ma, a volte, diventa dolorosamente percepibile, anche
se vissuta come altra cosa. Perché va a colpire un punto dolente:
un’energia-aspetto irrigidito, intorpidito, dimenticato. Non risolto,
cioè non ancora morto mentre avrebbe dovuto esserlo.
L’io
di ora si trova allo sbaraglio, si percepisce disintegro più che mai e
con la necessità di reinventarsi, ma per farlo deve tornare indietro e
recidere definitivamente il passato.
Il
contatto con l’altro tocca nell’intimo, perché lo introduce dove
siamo veri, nudi. Forti e vulnerabili allo stesso tempo. Vulnerabili,
soprattutto, perché ci hanno insegnato a coprire con vergogna ciò che
si è, che è stato rifiutato perché diverso … o inquietante come
qualche parte misconosciuta di se?
Là,
si annida la paura che emerge quando ci si apre per far entrare
l’altro.
Un’apertura
serve a entrare come a uscire. Mentre l’altro entra in me, io esco da
me. O viceversa. Per uscire da me devo avere il coraggio dei miei
sentimenti. Sentirne la forza nel cuore. E il primo sentimento a
muoversi è quello verso se stessi, per cui se non si sa chi né cosa si
è, come lo si potrà sapere rispetto all’altro?
Ciò
che entra all’interno ha bisogno di intimità, fiducia. Di nutrimento,
che si ottiene portando i
sentimenti in profondità. Non di essere mostrato, ma nemmeno nascosto.
Di
nascosto si fa ciò che non si approva da se e che si teme non venga
accettato dall’altro. Il che tradisce una falla interiore.
Si
mette in mostra ciò per cui si vuole ottenere il consenso che in sé
non si trova.
Non
necessariamente questo indica una mancanza di sentimenti, ma sicuramente
una confusione e dipendenza dall’altro.
Questo,
in genere, fa lievitare la gelosia, che nasce dal sentire
oscuramente che l’altro non ci appartiene, pensando quindi che lo si
può perdere. Ovvero perdere quella parte (di se) nata dall’incontro
con l’altro. Dal quale, quindi, dipende quel qualcosa che sento che
compensa quello che non riesco a sentire (di me).
Da
queste dis-funzioni, soprattutto, derivano
i Tabù, non ultimo quello che ha a che fare col sesso
- una delle facce dell’amore che nutre i
sentimenti -
di cui troppo ancora si parla
per poterlo ritenere superato.