DOGVILLE
di Lars Von Trier
(per chi non l'avesse visto : questo commento può contenere elementi chiave e il finale del film)
La scarnezza-inesistenza
delle strutture richiama a un’essenzialità esasperata, che si traduce in
aridità di sentimenti, celata dietro l’ipocrisia generale. Così che la
traccia di gesso non è nemmeno traccia, bensì indizio di una comunità
sgretolata.
La narrazione nega
l’evidenza, mistificandola, come spesso accade con le parole. E il film ne è
la testimonianza cruda e irriverente.
Tom, prototipo di questo
genere di umanità, si vuole buono e saggio, cioè migliore, in rapporto agli
altri. Questa è la sua fragilità o arroganza, per quanto vestita di
gentilezza e cristiani principi: non esiste una reale spinta a perfezionarsi
bensì solo a “di-mostrarsi” .. superiore alla meschinità altrui, dalla cui
opinione è, quindi, influenzato.
Grace, è una prova che il
destino (c’è solo una strada che raggiunge il paese) pone alla
comunità di dimostrare la propria veridicità. E la realtà viene a galla.
Per ognuno è l’incontro
con la propria ombra, che non si riesce ad accettare. Per tutti non sarà che
un’opportunità per dimostrare la propria benevolenza .. sfruttando, quasi
fosse un gentile modo di accogliere la straniera nella comunità.
Oggetto fin dall’inizio
(di lei fino alla fine si sa poco o niente, né si vuole realmente sapere),
per uccidere la noia crescente e la delusione del proprio fallimento, resta
pertanto estranea e emarginata, tanto più nel momento in cui risulta
maggiormente vulnerabile (è ricercata dalla polizia). L’accettazione
“forzata” lascia cadere la maschera, tutti senza nulla sapere giudicano,
condannano, puniscono trasformandola in capro espiatorio, su cui riversare i
sentimenti più vili a compensazione della propria inconsistenza. Tragico
gioco di potere, travestito da rigore “educante”, che logora ogni innocenza
(anche i bambini la ricattano).
La resistenza fino
all’ultimo di Tom, altro non è che ancora il suo desiderio di distinguersi
come “giusto”, senza tuttavia osare opporsi all’ignominia, negandosi così
una propria individualità.
A salvarla da questa
“città del cane” arriva proprio colui da cui fuggiva: il padre, famiglia,
altra faccia della comunità-potere prevaricante che accetta solo chi si
conforma.
Stretta fra due poteri
arroganti vorrebbe ancora credere in un mondo migliore, ma le scuse che Tom
le porge, solo perché in pericolo, sempre all’interno del proprio ruolo, è
la goccia che fa traboccare l’amarezza.
Abbandonata dall’umanità,
anch’essa l’abbandona ergendosi a angelo vendicatore. Si arrende alla
sconfitta per l’impossibilità-incapacità di credere in un mondo migliore.
Tuttavia se ne assume la responsabilità in prima persona (spara a Tom,
che rappresenta la disgregazione umana, perché certe cose vanno fatte da
soli) e in questa scelta individuale e consapevole, nonostante tutto, si
differenzia.
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