Paradiso perduto (un'allucinazione) |
Lo spazio si estendeva ampio e limpido oltre l'infinito. Il cielo trasformava i suoi colori per accogliere il giorno. Nel blu, denso ma non più scuro, tre stelle resistevano alla luce che lontano si affacciava. Un'unghia sottilissima di luna andava impallidendo sospesa appena sopra l'orizzonte. Il sole, dal suo nascondiglio, lanciò un raggio assorbendola. Poi sorse il giorno.
I suoi piedi fremettero mentre si staccavano dallo spazio su cui poggiavano: stava spiccando il volo. Omega, al suo fianco, toccò con il pensiero il suo "Non andare ancora. E' pericoloso". Si guardò le ali, ampie ed eteree, che vibravano con riccioli d’impazienti piume. "Le loro parole raramente corrispondono ai pensieri" insistette Omega "Credono che volare sia della mente." Carezzò con lo sguardo la tranquilla vastità di quanto la circondava, ma il fremito impercettibile delle ali tradiva l'impazienza. - Se è il suono che cerchi, parlerò io - disse Omega. L'aveva presa alla sprovvista e per un istante rimase immobile, poi rise e si librò nell'aria.
Planò dolcemente in un angolo di penombra della strada poco frequentata. Raccolse con pudore le ali e si mescolò alle persone. Il suo nuovo amico la stava certo aspettando. Un'ombra leggera d'ansia s'insinuò nel respiro. Il batticuore di chi si apre all'ignoto, sapendo che forse sarebbe più saggio non andare oltre.
Omega aveva raccontato per immagini le infinite varietà di forme, con cui la terra arricchiva lo spazio di miracoli che si ripetevano ciclicamente. N’era rimasta affascinata e s'era avventurata alla scoperta del pianeta. Così conobbe i contorni definiti delle cose. I diversi profili della terra: avvallamenti, pianure, promontori, si diversificavano non solo fra loro, ma anche per caratteristiche morfologiche, colori, profumi e gli esseri animati che li abitavano. L'acqua stessa non era solo acqua, ma rugiada, torrente, fiume, mare ... Poi incontrò le città e i suoi abitanti.
Aveva intrecciato i sottilissimi fili della confidenza. Nessuno però sapeva delle ali. Il pudore, l'imbarazzo, l'attesa di scoprire le loro o, più semplicemente, la paura non le consentivano di osare. Li ascoltava parlare, avidi di parole, lei così abituata al silenzio o al tocco di pensieri essenziali. Le parole in sé spesso non avevano senso, mancavano di radici reali: ripetizioni di concetti belli e giusti cui raramente seguiva l'azione coerente. Ma il suono ..., soprattutto quando si arricchiva di fremiti segreti, che rivelavano molto più delle parole, l'affascinava. La voce del suo nuovo amico era percorsa da infinite vibrazioni: alcune calde e insinuanti, altre atone e ripetitive, altre ancora della pacata tranquillità del 'sapere'. E poi il guardarsi. Non solo il guardarsi per conoscere le linee dell'altro, ma il guardarsi dentro e leggersi i pensieri. Forse.
Sentiva che poteva essere molto pericoloso. Omega l’aveva avvisata che là, sulla terra, avrebbe anche potuto perdere le ali e restare in eterno. Ma questo non la spaventava. Percepiva in sé degli strani sommovimenti e voleva capirne il significato. Ogni giorno c'era da scoprire qualche cosa. Le stesse cose, a volte, ripetendosi erano diverse. Così percorreva e ripercorreva lo spazio avanti e indietro, e le soste sulla terra si facevano più lunghe. D'altronde Omega 'conosceva' e aveva ancora le sue ali, nonostante quell'ombra intraducibile nei pensieri che nascondevano ... cosa? Rimpianti forse? "E' un paradiso perduto" aveva commentato una volta. Ma nessun pensiero si era levato a chiedere spiegazioni.
Il suo nuovo amico la vestiva di parole. Con parole esprimeva sogni, speranze, quello che lei credeva la sua fede. Le piaceva ascoltarlo, nonostante alcune stonature e suoni falsi incrinassero a volte l'armonia del suono. In realtà egli l'aveva conquistata altrimenti.
Una sera, mentre stava assorta e incantata tra le pagine di un libro un movimento improvviso, come un planare d'ali, aveva catturato la sua attenzione. Il respiro si era ammutolito e lentamente, con cautela, aveva alzato lo sguardo. Nulla. Un ragazzo rideva là vicino mentre discorreva con amici, scrutando attorno il possibile pubblico. Aveva ripreso a leggere, sprofondando nei percorsi che il contrasto dei caratteri scuri formava con le bianche pagine. E di nuovo, repentinamente, un'ombra d'ali l'aveva risucchiata alla realtà circostante. Questa volta si distolse immediatamente dal paesaggio interiore sorto dalla lettura e le vide le ali: le mani ampie del ragazzo si libravano nell'aria intrecciando fili inesistenti in una trama le cui linee creavano disegni in continuo mutamento. Aveva distolto lo sguardo con lieve imbarazzo come se involontariamente avesse scorto qualcosa di assolutamente intimo che non la riguardava. Ma aveva superato la soglia invisibile.
Un giorno, dopo un'assenza breve e struggente, invece di parole le regalò la sua scrittura. Il mare si trasformò: non più distesa immensa da guardare, percorsa da brividi di onde che cavalcavano al di sopra di misteriosi segreti sommersi; nacque in lei. Adagiò le ali nel cassetto della memoria e si fermò. Quando il desiderio del volo libero e infinito la richiamava, percorreva con lo sguardo i piccoli segni che lui aveva tracciato sui fogli. A volte, sporgendosi al di sopra delle spalle di lui, intente allo sforzo scrittorio, osservava stupita quella scrittura così minuta rispetto all'ampiezza delle mani. Riusciva a vederla scorrere anche al buio.
"Ti ha mai toccato col pensiero il pensiero" Omega, al suo fianco, osservava gli scritti fra le sue mani. Sobbalzò e lo guardò. Per la prima volta guardò veramente i suoi occhi e li vide. - Ti ha mai toccato col pensiero il pensiero? - e vide anche la sua bocca. Non erano definiti nitidamente, poiché non li aveva mai imparati attraverso uno sguardo umano. Non aveva mai sentito il bisogno di guardarlo così. Si accorse che le ali di Omega erano arruffate, leggermente annerite. E comprese: aveva attraversato il fuoco delle sue ombre impenetrabili e lottato con le sue paure per raggiungerla. Rabbrividì. "Non ho paura " rispose. Omega la guardò, sordo "Non potrò tornare a trovarti" - Non ho paura di aver paura - ripetè. Omega restò al suo fianco per qualche tempo. La seguiva invisibile poiché non voleva nascondere le ali.
Il suo nuovo amico alternava scritture a parole. Omega immobile, senza pensieri da frapporre alla sua pazzia che avrebbero richiesto un intenzione che non era del loro mondo, ascoltava e leggeva e in silenzio osservava il viso di lei risplendere, folgorato da una luce troppo intensa, ad ogni nuova parola o scritto. "Dunque resterai" fu l'ultimo pensiero di Omega prima di partire.
L'inchiostro si era trasformato in suono. Un suono attraverso cui dimenticava le sue ali per non avvertire il dolore di questa amputazione. Un suono di cui si nutriva per non sentire ciò che non aveva mai sentito prima: la solitudine, la mancanza. Omega e il suo mondo erano lontani. Lo erano stati altre volte, ma in modo diverso. O era lei, ora, diversa?
Il giorno in cui il suo nuovo amico le vide le ali inorridì, non perché fossero qualcosa di troppo, ma poiché riflettevano la limitatezza delle parole, degli ideali di cui si nutriva, troppo alti per essere praticabili se non nella fantasia. Invano aveva tentato di sfuggirne per lo sgomento che ne derivava. Era talmente insostenibile sapere, che lui dimenticò. Lei non se ne accorse o non volle. Stava ad ascoltarlo, a leggerlo, a guardarlo mentre tentava il grande salto, in bilico sul precipizio della libertà. Fu così che gli scopri le ali. Le vide. Le vide? "Non sono ali". Si guardò intorno. No, Omega non era là. Richiuse i suoi pensieri e l'eco lontana si frantumò.
Quando le strappò a brandelli le ali, scagliandosi su lei con rabbia e furore distruttivo, lui stesso non sapeva di che si trattasse né cosa stesse facendo. Forse non sapeva nemmeno cosa lo muovesse. Istintivamente lei capì che gli uomini temono il volo. Nonostante lo inseguano, imitandolo in svariate forme, non hanno il coraggio del volo libero e solitario che richiedono le ali. Il pensiero è più leggero, non richiede disciplina e impegno.
Le parole ricaddero da dove erano venute : nel vuoto.
La notte sembrava non volere finire. Era ormai l'alba, ma il cielo restava cupo. Pesanti nuvole gravavano sulla città. Guardò verso l'orizzonte che le case ostruivano. Una striscia chiara allungava come folgore una punta rivolta a sud: una nuvola bianca in fuga dal peso delle altre. Pensò che se avesse avuto ancora le ali avrebbe potuto raggiungerla per cercare con essa una fenditura da cui fuggire. Il rimpianto era aggravato dalla limpidezza dell'aria, nonostante l'oscurità, che ricordava gli spazi infiniti e puri. Poi la luce si insinuò attraverso la fessura che aveva creduto nuvola bianca. E la pesantezza che l'opprimeva si alleggerì. Il sole sbirciò la città: insoddisfatto, per tutto il giorno giocò a rimpiattino. L'alternarsi di luci e ombre la penetrò. Aveva conosciuto emozioni che forse altrove non avrebbe imparato e, sebbene queste non fossero che una piccola parte di un sentimento più totale, l'incontro con esse aveva arricchito la consapevolezza. Aveva appreso i suoni delle voci e il suo udito era diventato più sensibile. Aveva conosciuto anche l'assenza e la solitudine, che derivano dall'appartenere a un altro mondo, da cui era nato il desiderio struggente di oltrepassarne i muri. Aveva scoperto l'altra faccia della luna, a tentoni, con sgomento, riconoscendola anche in sé.
Alfa guardò oltre le nuvole, oltre la luce, oltre lo squarcio sulla città. Solo ora comprese cosa Omega intendesse per paradiso perduto. I miracoli continuavano a proporsi, ma ciò nonostante gli uomini non sapevano volare, se non col pensiero. Non volevano ali e il loro cuore era addormentato.
Si tuffò verso la luce. Le ali dolevano per lo sforzo, ma proseguì nel volo.
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